Galdragh l'intrepido


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Darklight
Balrog
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MessaggioInviato: Dom 08 Apr 2007 17:33 pm    Oggetto: Galdragh l'intrepido   

La pianura, piatta come una lama di spada, si stendeva dinnanzi a lui a perdita d’occhio. Il terreno era brullo e screpolato come pelle rinsecchita, l’aria era gelida e sollevava nubi di polvere che turbinavano con ampie volute.
La maggior parte delle genti chiamava quella terra di nessuno “Arfax-Arathost””, che nell’antica lingua degli uomini significa “cenere senza vita”.
Appariva come un infinito oceano di terra scura e rocce taglienti, a malapena ricoperto da licheni verdastri e contorti cespugli rinsecchiti che si agitavano a ritmo del vento, levandosi verso il cielo come ossute mani supplichevoli. La vita non avrebbe potuto proliferare in quel luogo di tenebra, rifletté Galdragh con un ghigno agro. Da ore ormai osservava quel paesaggio squallido ed inquietante, quell’infinita distesa putrida avvolta dall’umidità del muschio e dalla patina viscida della brina.
Irsha, la Dea della natura e degli animali, non risiedeva in quel luogo. Galdragh ne era certo. Nemmeno la potenza creatrice di vita della Dea avrebbe potuto risanare l’atmosfera infetta che lo circondava.
Una ciocca umida dei capelli corvini, smossa dal vento, ricadde sulla fronte di Galdragh, coprendogli la vista. Lui la smosse con un cenno infastidito della mano, mentre con l’altra andava lentamente a sfiorare il pomo d’acciaio con cui terminava l’impugnatura della spada.
Accarezzando le consunte fibre di cuoio che ne avvolgevano il manico, Galdragh pregustò il momento della vendetta, quando il sangue sarebbe scorso e avrebbe inondato quel terreno ripugnante come linfa vitale.
Sì, ne era certo. Il sangue avrebbe cosparso quelle sterpaglie molto presto... Il sangue del suo nemico, o il suo... Non aveva importanza. Quello che veramente contava per Galdragh consisteva nel fatto che la sua missione, la sua ultima ragione di vita si sarebbe finalmente compiuta dopo tanti anni di vagabondaggi solitari e atroci sofferenze interiori. Avrebbe avuto fine lì, in quel luogo deserto. Nessuno avrebbe assistito allo scontro, ma la cosa non aveva nessuna rilevanza. L’unico spettatore di quel duello imminente sarebbe stato Aroh, il dio della Morte.
Un’altra folata di vento gelido attanagliò il petto vigoroso di Galdragh e smosse la sua nera chioma selvaggia.
I lunghi capelli incolti gli ricaddero sulle spalle possenti e sulla schiena poderosa, protetta da una pesante veste di cuoio e scaglie di metallo.
Le gambe massicce erano fasciate da stretti calzoni di pelle borchiata, sorretti da una larga cintura nera a cui era fissata la lunga spada bastarda, affilata e micidiale.
Sin dal primo sguardo, Galdragh appariva come i più terribile dei guerrieri delle terre di Ashkard; tuttavia nonostante la stazza imponente e l’aspetto truce, ciò che più intimoriva gli avversari di Galdragh era il suo viso: squadrato e dai lineamenti selvatici tipici dei territori a Nord, con zigomi alti e marcati che gli conferivano un’aura di solenne regalità unita a glaciale ferocia. Ma ciò che più risaltava sul suo viso imperterrito erano gli occhi... Occhi azzurri come il ghiaccio, gelidi come le acque di un fiordo, profondi e lucenti come diamanti. Gli occhi di Galdragh erano al tempo stesso sofferenti e pieni di vita, profondi ma insondabili, a meno ché non fosse Galdragh stesso a lasciar trasparire di sua volontà le emozioni da lui provate.
L’aria intorno a Galdragh si fece ancor più glaciale, il vento aumentò di potenza, attraversando l’aria vuota della vallata con un sibilo cupo e baritonale che somigliava al respiro profondo di un gigante addormentato.
Improvvisamente il cielo cominciò a ribollire di basse nubi temporalesche, l’aria si fece pesante ed elettrica. Mancava poco. Davvero poco.
Galdragh sollevò la mano con cui poco prima stava carezzando l’elsa della spada, e fissò intensamente una fascia di stoffa rossa legata stretta attorno al bicipite muscoloso.
I lembi della fascia scarlatta volteggiavano in preda alle raffiche di vento. Galdragh la fissò ancora, e senza che se ne accorgesse gli occhi gli si velarono di lacrime e disperazione. La fascia di Sangue... era il suo impegno, la sua missione, la sua vita... la sua maledizione.
Quella fascia rappresentava per Galdragh, così come per tutti i guerrieri Ashkard, un impegno solenne di vendetta verso qualcuno. Qualcuno che aveva commesso verso il portatore della fascia un torto talmente grave e terribile da poter essere punito solo con la morte.
Dal momento che un guerriero ashkard si annodava al braccio la fascia di Sangue, egli prometteva a se stesso e al resto del mondo che avrebbe dedicato tutto il resto della sua vita a cercare il colpevole e sfidarlo all’ultimo sangue per vendicare il torto nella maniera più atroce possibile. Una volta compiuta la missione e saziata la vendetta col sangue, la sua vita non avrebbe avuto più alcuno scopo.
Ora era giunto il suo momento. Galdragh ripensò a tutti gli anni trascorsi prima di allora, all’esistenza infelice ed empia che aveva vissuto per mantenere fede alla fascia di Sangue... Mezza vita gettata per inseguire il suo nemico, per braccarlo e seguire le sue tracce in modo da non perderlo mai... In modo da sapere sempre con certezza che egli fosse un passo davanti a lui, fino al momento in cui Galdragh sarebbe balzato in avanti, colpendo il suo avversario con tutta la sua furia maturata da più di dieci anni di tormento. Quella non era stata una vita degna di essere vissuta. Era stato un incubo interiore fatto di dilemmi e incubi...
Ma, del resto, di chi era la colpa di tutto questo se non di lui? Di colui che per anni aveva inseguito, di colui che ora aveva deciso di farsi avanti e raccogliere la sua sfida. Niente rimpianti, si disse tristemente. Quello che era successo in passato non si poteva modificare, si poteva solo onorare...
Con rabbia bestiale che sfociò in un urlo assordante, Galdragh sfoderò la lunga spada bastarda dal fodero e la levò al cielo temporalesco con entrambe le mani. Fulmini saettanti fuoriuscirono dalle nubi agitate e solcarono l’aria dall’alto in basso, piombando con boati secchi al suolo. La lama della spada risplendette alla luce delle folgori, mentre Galdragh abbassava l’arma e la conficcava nel terreno dinnanzi a sé.
-Vieni, negromante! Fatti vedere, cosicché io possa compiere finalmente la mia vendetta!- la voce di Galdragh era così potente da risuonare nell’eco della vallata nonostante il frastuono dei fulmini temporaleschi che si abbattevano al suolo con frequenza e forza innaturale.
Il guerriero si guardò attorno, il viso offuscato dalla chioma fluente che si agitava al vento come una criniera impazzita. Nessuna apparizione, nessun segno del negromante. Tuttavia Galdragh sapeva che egli era vicino, e lo stava osservano. Era abbastanza convinto anche del fatto che quell’improvviso temporale di fulmini non fosse opera di Irsha e di sua figlia Natura, ma fosse un malefico artifizio magico che il negromante scagliava tutt’intorno per intimorire il guerriero. Ma galdragh non sarebbe caduto in simili sporchi giochetti.
Un fulmine piombò a poca distanza da lui, precipitando con un frastuono assordante che spaccò le orecchie di galdragh per alcuni istanti. Scosso e stordito, Galdragh avvertì nell’aria il pungente sentore di fosforo e zolfo, tanto il fulmine era stato vicino.
Colto alla sprovvista, il guerriero barcollò per alcuni istanti premendosi le mani sulla fronte, poi si aggrappò all’elsa della spada conficcata al suolo e riuscì a ricomporsi, deciso fino alla fine a resistere per lo scontro faccia a faccia.
-La tua perseveranza è ammirevole, barbaro selvaggio... Dovrò pensare a qualcosa di meglio di fulmini e folgori per farti tornare a casa strisciando, è così?- La voce, dal tono ghignante e beffardo, riecheggiò nell’aria, amplificata da una eco che non era il naturale rimbombo della valle, e che riverberò tutt’intorno in maniera eccessiva e distorta.
Galdragh sussultò, atterrito dall’improvviso riecheggiare della voce, e subito impugnò la spada innalzandola davanti a sé, osservando la valle scossa dal temporale.
All’improvviso, a pochi metri da lui, una leggera nebbia scura prese a vorticare rapidamente, attorcigliandosi in sottili spire fluttuanti.
Dalla nebbia nera prese forma una figura di uomo, snella e alta, avvolta da una larga veste scura che svolazzava insieme agli ultimi spiragli di fumo magico.
Quando la nebbia fu scomparsa e la figura del negromante fu completamente tangibile, Galdragh osservò per la prima volta dopo tanti anni il volto di colui che aveva maledetto mille volte, e mille volte ancora.
Il viso del negromante era sottile e pallido, dai lineamenti quasi delicati. Sarebbe potuto essere un viso di bell’aspetto, se non fosse stato distorto da un ghigno sarcastico e folle, e da quegli occhi scuri e scavati, piccoli e privi di vita come quelli di un rettile a sangue freddo.
I capelli del negromante erano candidi e brillanti, solcati da lucenti sfumature argentate che brillavano anche nel buio della tempesta magica che infuriava sopra di loro. Tuttavia, anche quella chioma argentata possedeva qualcosa di sinistro. I capelli sembravano muoversi come tentacoli, indifferenti al vento sferzante, come se qualche misteriosa entità li stesse accarezzando e smuovendo con gentilezza.
Galdragh osservò il negromante con folle odio, gli occhi iniettati di sangue e rabbia.
-Lo sai perché sono qui, negromante! Sono anni che ti inseguo, che osservo le tue mosse! So che tu avvertivi la mia presenza, ma solo ora trovi il coraggio per farti avanti... Accetta il tuo destino: tu devi morire sotto il fendente della mia spada, perché dal giorno che tu mi rovinasti la vita io mi sono impegnato a compiere la mia vendetta!-
Il negromante assunse un’espressione interessata, quasi divertita, poi disse: -Oh, povero Galdragh! Ti ho fatto soffrire, non è così? E dimmi, figlio di Ashkard, una volta che mi avrai ucciso cosa farai? Dove andrai? La tua vita sarà finita, e non ci sarà più posto per te in questo mondo...-
Galdragh sogghignò malignamente, mentre una luce malsana gli attraversava lo sguardo.
-Hai ragione, negromante! Se ti ucciderò io sarò finito... la mia vita sarà finita. Per questo motivo se avrò successo io mi ucciderò con le mie stesse mani, e sarò accolto con onore nella casa dei miei padri, poiché i suicidi reduci della fascia di Sangue non sono visti come peccatori nel nostro Al di là, ma come eroi, al pari dei più grandi campioni. La morte non mi fa paura, anzi! Sarà la giusta ricompensa in cambio di una vita dedita alla morte... alla tua morte, negromante!-
Gli occhi del negromante scintillarono di furia e ammirazione.
-Quindi ora sto parlando con un uomo che non ha nulla da perdere, al contrario che agogna di morire per trovare riposo eterno?-
alzando le braccia al cielo, il negromante prese a ridere, una sghignazzata stridula e distorta che fece gelare il sangue a galdragh.
-PERFETTO!- stridette il negromante, la voce ancora rotta dallo scoppio di risa. .Ti darò ciò che brami, guerriero. La MORTE!-
Con un ruggito di animale ferito, Galdragh balzò all’attacco, la spada levata al di sopra della sua testa, pronta a calare mortalmente sul corpo gracile e sottile del negromante
La lama scintillante scese ad arco verso il bersaglio, rilucendo di furore metallico e dei fulmini che si abbattevano tutt’intorno.
Il negromante alzò rapidamente il braccio verso la traiettoria della lama e aprì la mano, il palmo rivolto verso l’alto, le dita scheletriche tese come ad afferrare qualcosa di invisibile.
Sibilanti parole arcane fuoriuscirono dalla sua bocca, roche e pungenti come aculei avvelenati. Quando l’incantesimo fu compiuto, una splendente spada incorporea apparve sul palmo aperto del negromante, e le sue dita grifagne si serrarono intorno all’impugnatura dell’arma fatua.
Il potente fendente di galdragh si infranse sulla parata della spada magica del negromante, scatenando un’esplosione di scintille arroventate che bersagliarono l’avambraccio del guerriero, ustionandolo in un nugolo di dolori.
Galdragh cadde all’indietro, sbalzato dalla potenza della parata e sbilanciato dal contraccolpo.
Rialzandosi rapidamente, spada in pugno, Galdragh osservò l’arma magica evocata dal negromante: Dall’elsa flessuosa e intangibile si ergeva una lama scintillante e trasparente, che sembrava fatta di vetro e che pulsava come se al suo interno ardesse un fuoco vermiglio. L’energia magica emanata dall’arma distorceva l’aria come il calore di un potente falò, e tale energia penetrava dentro le ossa del guerriero, facendogliele vibrare fino al midollo.
-Una spada Daedrica!- imprecò galdragh con odio e stupore.
Pochissime persone su quella terra erano in grado di evocare le antiche armi demoniache di Daedra, Signora dei Demoni. Era necessaria un’incredibile affinità con la magia demoniaca per poterlo fare. A quanto pareva Galdragh si trovava dinnanzi ad un avversario dalla potenza indicibile. Continuando a fissare la spada Daedrica, risplendente di arcana luce magica, Galdragh sentì la fronte bagnarsi di sudore freddo, mentre la paura, grande nemico dell’uomo mortale, si insinuava nella sua mente come un’infezione, pronto ad afferrare il controllo delle sue azioni.
Galdragh si rialzò da terra, mentre il braccio colpito dalle scintille magiche ancora bruciava di dolore. Inspirò profondamente, scacciando il panico e liberando la mente di ogni cosa eccezion fatta per la voglia assoluta e definitiva di uccidere il suo avversario.
Il Negromante rise, in preda ad una folle estasi sanguinaria, mentre levava la spada demoniaca in alto e una fitta rete di fulmini fuoriusciva dalla lama, espandendosi nell’aria come ventaglio crepitante.
Galdragh vide la nube di fulmini scagliarsi verso di lui come se possedesse un proprio intelletto, così si gettò prontamente verso sinistra, schivando appena in tempo l’energia che si infranse al suolo lasciando un cratere fumante e una nuvola di detriti. Si rialzò in un lampo, strinse la spada a sé con vigore e si lanciò alla carica del negromante con una rapidità che aveva dell’incredibile.
Le gambe possenti di Galdragh lo spingevano in avanti come quelle di un felino, mentre lui incuneava la spada in un micidiale affondo diretto al petto del negromante, che ancora non aveva richiuso la guardia.
Colto alla sprovvista, il negromante spalancò i piccoli occhi di rettile nel vedere la lama puntare dritto al suo cuore. Sollevò la spada daedrica in un tentativo di parata che riuscì a malapena e che tolse la lama di Galdragh dalla traiettoria del suo cuore. Tuttavia la potenza e la rapidità con cui Galdragh aveva attaccato fecero sì che la lama colpisse lo stesso nel segno: sollevata verso l’alto dalla spada demoniaca, l’arma di Galdragh colpì di striscio la spalla del negromante, che urlò in preda al dolore e si ritrasse stringendo lo squarcio con l’altra mano.
Galdragh arretrò anch’esso, sollevando la spada in modo da osservare la striscia di sangue scarlatto che scorreva per la lama e gocciolava al suolo.
Bene! Proprio come aveva preannunciato, il sangue aveva iniziato a bagnare quel terreno maledetto. Il guerriero fissò una goccia di sangue che cadde dalla spada macchiata: la vide cadere sulla terra nera e polverosa, infine sparire tra le screpolature del terreno, subito risucchiata dall’aridità di quel luogo.
Fra breve avrai di ché bere a sazietà, pensò galdragh con perverso divertimento, rivolgendosi mentalmente al terreno arido.
Il sangue aveva iniziato a scorrere, e non era stato il suo. Un buon segno. Si sentì rinvigorito e rincuorato: Nonostante la sua grande potenza magica, il negromante non era intoccabile, dopo tutto. Tutt’altro, era un essere di carne e sangue...
Doveva solo attaccarlo il più ravvicinato possibile, in modo da limitare i poteri che la spada Daedrica era in grado di generare.
Il negromante barcollò, levò la mano con cui si stringeva la ferita e ne osservò il sangue su di essa. Furibondo, alzò lo sguardo verso Galdragh. I suoi occhi vitrei erano febbrili d’ira.
Con un grido stridulo, piantò la spada Daedrica al suolo, poi levò le mani al cielo e prese a recitare un'altra serie di sibilanti parole magiche appartenenti a chissà quale arcana lingua demoniaca..

Astanti Kashtar narathar Karathrafardaaaaaaash!

Agghiacciato, Galdragh vide il cielo burrascoso aprirsi come se le nuvole fossero state un manto di stoffa agitato, e all’improvviso una mano divina fosse scesa e l’avesse strappato via con uno strattone.
Le nubi scomparirono verso l’alto con un risucchio d’aria che sembrò svuotare l’intera valle di ogni suono. Galdragh sentì vacillare il suo coraggio. Quel negromante poteva sconvolgere gli elementi come se fossero stati giocattoli nelle sue mani. Era diventato incredibilmente potente dall’ultima volta che si erano incontrati. Come aveva potuto non accorgersene, mentre lo braccava?
Il negromante abbassò le braccia all’improvviso, additando verso Galdragh e sibilando la parola conclusiva dell’anatema:

Soraaaath!

Le nubi, che poco prima sembravano volatilizzate, ricomparvero in cielo, sotto forma di enormi aquile di vapore scuro, in folle picchiata verso Galdragh. Le sagome di volatile erano ribollenti di furia e potenza, mentre intorno a loro i fulmini schioccavano nel vuoto, seguendo la traiettoria della picchiata che piombava dritta sul guerriero.
Impotente, Galdragh venne investito dalle nubi a forma di aquile, che lo avvolsero e subito si trasformarono in un vortice d’aria e polvere. Galdragh sentì il vento turbinoso schiacciarlo come un macigno. I fulmini gli saettavano a pochi metri dal corpo, martellandogli le orecchie come fruste nella sua testa. Non lo colpirono, ma il frastuono da essi provocato fece quasi perdere i sensi al barbaro che venne sollevato dal suolo e scagliato all’indietro, piombando a terra e sbattendo la schiena dopo un volo di quasi dieci metri.
Tossendo e gemendo, Galdragh rimase immobile per alcuni istanti. Il suo corpo era lacerato dal dolore. Nelle sue orecchie un fischio assordante rischiava di spaccargli in due il cranio come un sasso in un fuoco. Sentiva in bocca il sangue impastato alla saliva, e la polvere del vortice che poco prima lo aveva aggredito come un mostro piombato giù dal cielo.
La mano sinistra si serrò di scatto, ma strinse il nulla. La spada! Che fine aveva fatto la spada? L’aveva persa quando era stato investito dal vortice di nubi... Doveva ritrovarla... Doveva uccidere quel mostro, doveva infilzarlo e soffocarlo con i suoi stessi intestini...
-Il grande Galdragh, prode guerriero Ashkard, sconfitto dopo appena due incroci di spada?-La voce del negromante gli tagliò il cervello, tanto era pungente.
Sentì i passi dello stregone che avanzavano verso di lui, attutiti dal suolo polveroso. Tentò di alzarsi, ma l’ultimo attacco era stato devastante. Il barbaro respirava a fatica e avvertiva un dolore lancinante al petto ogni qual volta che inspirava ed espirava.
“Costola...spezzata...” si disse Galdragh all’interno della mente annebbiata. Doveva resistere. Doveva VINCERE!
Raccogliendo la forza da ogni fibra del suo essere, e anche di più, Galdragh si alzò da terra con un ringhio, vincendo il dolore al petto che lo trafiggeva come un pugnale arroventato. Si guardò intorno freneticamente, tentando di individuare la spada. Spalancò gli occhi quando la vide: era a pochi metri da lui, conficcata nel suolo. Corse verso di essa e tese la mano nel disperato tentativo di afferrarne l’impugnatura che tante volte aveva stretto con vigore nei suoi anni di combattimenti e guerre. Le sue dita si chiusero su di essa. Pelle ruvida e consunta sul palmo della sua mano. Dietro di lui si udì un forte sibilo elettrico che solcò l’aria come un proiettile micidiale. Estraendo la spada dal suolo mentre era ancora in corsa, Galdragh si gettò a terra con un’agile capriola, mentre a pochi centimetri dalla sua testa un dardo di folgori saettò nell’aria e si infranse al suolo più avanti, in uno schiocco.
Il guerriero si voltò verso il negromante. Quest’ultimo aveva riafferrato la spada daedrica, che baluginava d’energia malefica, e stava correndo verso di lui con una rapidità che non ci si sarebbe aspettata dal sua stazza gracile.
-Vieni a me!- Urlò Galdragh, correndo a sua volta verso la figura nera dello stregone.
I due avversari cozzarono l’uno contro l’altro, spada contro spada in una nube di scintille ed energia, mentre tutt’intorno fulmini verdastri solcavano l’aria e tormentavano la terra.
-Sei fortunato, Figlio di Ashkard...- Sussurrò il negromante, avvicinando il suo volto a quello di galdragh mentre le spade stridevano l’una contro l’altra in un incrocio ravvicinato. –Non ho più la forza magica necessaria per attuare altri incantesimi... Ma non ti preoccupare! Posso benissimo ucciderti nella vecchia maniera, come fate solitamente voi miseri, rozzi guerrieri... La mia spada ha poteri sufficienti per annientarti. Presto raggiungerai tuo figlio... e tua moglie... e tua figlia... Oh, sapessi quanto è stato facile e piacevole annientarli! Posso ancora sentire nelle mie orecchie l’echeggiare dei lamenti d’agonia di tua figlia, mentre veniva arsa viva dal fuoco magico del mio incantesimo. E posso ancora avvertire il puzzo di carne bruciata... La carne di tuo figlio... e della tua donna. Tutti morti in quell’enorme, splendente pira che una volta era la vostra accogliente dimora...- Il negromante sorrise malignamente, il suo ghigno pareva uno squarcio distorto all’interno del suo viso pallido.
Galdragh sentì la ferocia del dolore riempirgli il corpo come un incendio. Con un colpo poderoso della spada riuscì a interrompere il contatto delle due lame, sbilanciando il negromante all’indietro per alcuni attimi. Urlò, urlò come mai aveva fatto, mentre stendeva la gamba e sferrava un calcio allo stinco del Negromante. La potenza del colpo fu tale che l’osso della gamba si spezzò all’istante con uno schiocco di ramo secco; la gamba cedette e lo stregone cadde inginocchiato sulla gamba troncata. Si udì un altro orripilante rumore di ossa frantumate. Sul volto del negromante era dipinta un’espressione di muta e indicibile sofferenza. Il ghigno malefico ora era spalancato e silenzioso, il dolore era tale che lo attanagliava e non gli permetteva di emettere neanche un singulto. La spada daedrica gli scivolò di mano, cadendo al suolo col un clangore metallico.
Galdragh la afferrò e si avvicinò alla figura prostrata dello stregone; Roteò entrambe le spade con un abile movimento di polsi, mentre l’ebbrezza del massacro lo rendeva cieco e folle.
-POSSANO I MIEI PADRI VEDERE CHE LA VENDETTA STA PER ESSERE COMPIUTA! POSSA IO ESSERE ACCOLTO SENZA VERGOGNA NELL’AL DI LA DI ISHKARD E RICONGIUNGERMI CON CHI MI E’ STATO STRAPPATO DA QUESTO MONDO!- La preghiera di Galdragh vibrò nell’aria e si espanse per tutta la valle, riecheggiando fino al cielo tempestoso.
Il negromante osservò il volto di Galdragh con un’espressione straziata. Si perse nelle profondità gelide di quegli occhi azzurri che ora erano arrossati da lacrime di odio e vendetta. Capì che non ci sarebbe stato scampo. Ma non riuscì a farsi coraggio e venne avvolto dal gelido manto della disperazione. Galdragh sollevò entrambe le spade al cielo e le calò sull’esile corpo del negromante, squarciandolo da parte a parte, mentre ogni singolo osso, organo e tessuto veniva reciso dalla corsa mortale delle due lame incrociate. Il corpo dell’uomo si riversò al suolo, spezzato. Il sangue sgorgò a fiotti e subito venne assorbito dall’aridità del suolo. Come ultimo gesto di sprezzante vittoria, galdragh conficcò entrambe le spade nel volto marmoreo del negromante, deturpando per sempre quella maschera dagli occhi spenti.
Galdragh levò lo sguardo al cielo. Le nubi e le folgori scomparvero rapidamente, lasciando intravedere un vivido cielo grigio come freddo metallo.
Chiuse gli occhi. Il suo respiro si fece regolare. Il sudore gli copriva il volto e grondava sulla fronte, solcandogli le rughe coperte di polvere.
All’improvviso, sentì la pace e la rassegnazione avvolgergli il cuore come un morbido sudario di seta. Tutto perse ogni importanza. Tutto, d’improvviso, diventò privo di scopo e significato.
-Sto tornando, bambini miei... Sto tornando, moglie mia...- Disse il guerriero in un sussurrò, mentre un sorriso gli riappariva in volto dopo tanti, tantissimi anni.
Estrasse bruscamente la sua grande spada dal viso sfondato del suo nemico sconfitto e appoggiò il pomo dell’impugnatura a terra, puntando la lama alla sua gola. L’ultima lacrima scorse, poi Galdragh Lasciò la presa sulla spada e si lasciò cadere su di essa.
Poco lontano, appollaiato sul ramo di un cespuglio scheletrico, un grosso corvo aprì le ali e volò via gracchiando, spaventato dal tonfo del guerriero che cadde a terra, insieme al clangore della sua spada.
Fu così che il destino di Galdragh l’intrepido si adempì in quel luogo, “Arfax-Arathost””, che nell’antica lingua degli uomini significa “cenere senza vita”.
"Because he's the hero Gotham deserves, but not the one it needs right now...and so we'll hunt him, because he can take it. Because he's not a hero. He's a silent guardian, a watchful protector...a dark knight. "
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Balrog
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MessaggioInviato: Dom 08 Apr 2007 22:58 pm    Oggetto:   

Una bella storia! C’è indubbiamente molta più magia in questa storia che in tutte le altre da te scritte. Mi piace per questo.

Tuttavia quando si scrive di magia e si fa usare la magia ai personaggi si corre il rischio di cadere nel banale e di abusare dell’aspetto magico. Certo nella storia non ci sono eccessi in questo senso anche se l’aggettivo magico è stato usato in modo, secondo me, piuttosto generoso, per così dire, (tempesta magica,fuoco magico ad esempio )

A mio avviso, la magia in una storia è sempre altamente dissimulata.
Nel Signore degli Anelli la parola magia compare raramente. C’è anche un passaggio che dà espressione a questa dissimulazione della magia: Galadriel parla a Sam:

Questo è ciò che la tua gente chiamerebbe magia, suppongo; non comprendo tuttavia ciò che intendono dire, poiché sembra che adoperino la stesa parola per gli inganni del Nemico.

Ecco perché personalmente preferirei evitare completamente l’aggettivo magico (a meno che il pubblico destinatario non sia rappresentato da bambini, in quel caso il discorso è piuttosto diverso).

Un altro punto della storia che vorrei sottolineare è l’uso delle maiuscole:
la fascia di Sangue forse sarebbe dovuta essere scritta come Fascia di Sangue.
Così come invece di spada Daedrica sarebbe meglio Spada Daedrica.
Per il nome negromante hai usato la maiuscola una volta sola, ma le altre volte hai lasciato il minuscolo e quindi non saprei se preferire l’una o l’altra forma, anche perché, come ho avuto modo di dire nel 3d apposito in questo stesso canale, non ho perfettamente ben chiaro il significato dell’uso delle maiuscole per i nomi comuni.
my aNobii
È stata la magia dei Druidi a causare questo problema, ed è mia precisa responsabilità risolverlo. Ohmsford, pensateci voi! Allanon su Nonciclopedia
Coram85
Capitano di vascello
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MessaggioInviato: Lun 09 Apr 2007 16:47 pm    Oggetto:   

C'ho buttato un occhio ieri. Letto fino a 1/4 del testo, poi ho chiuso per la stanchezza. (E la lunghezza Laughing )


Oggi l'ho riletto. Scritto molto bene. Scivola via la lettura.
Qualcosa - ma qui c'è del personale - l'avrei evitata, tipo i puntini che succedevano a termini che nel testo dovevano spiccare come importanti, credo. Avrei usato il corsivo, o meglio i punti per dare alla lettura (nel lettore) un qualcosa di molto immediato. Incisivo per gli occhi.

Il maiuscolo. Non è sbagliato (in alcuni libri l'uso del maiuscolo è a dir poco esagerato), ma è un'altra cosa che avrei evitato.


Curato. Concreto. Mi è piaciuto.
I wrote a paranormal story, including babes, alcohol and Battle Rock! Is called Dark Rock Chronicles!

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Tiffany Aching
streghetta in erba
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MessaggioInviato: Lun 09 Apr 2007 19:08 pm    Oggetto:   

E' una bella storia! Smile Anche se è davvero molto drammatica e triste



Terra sotto l'Onda

Elyria
Anjin
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Località: fra la terra e il mare
MessaggioInviato: Lun 09 Apr 2007 21:50 pm    Oggetto:   

Mi è piaciuto, anche se il tema proposto è molto classico.

"Il sangue avrebbe cosparso quelle sterpaglie molto presto... Il sangue del suo nemico, e il suo..."

visto che, anche incaso di vittoria, ha già deciso di uccidersi.

Toglierei anche qualche aggettivo: petto "vigoroso", spalle "possenti" , schiena "poderosa" etc. IMHO, descrivi sufficientemente l'aspetto fisico poche righe sotto.
http://novatlantide.wordpress.com/

Caoticista nell'animo.
Castalia
caccia il cacciatore caccia il cacciatore
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Località: Verona
MessaggioInviato: Mar 10 Apr 2007 10:07 am    Oggetto:   

mi è piaciuto molto, davvero.
drammatico ed eroico...e i bambini e la moglie...son sempre cose che mi commuovono Triste

unica cosa:
Lui la smosse con un cenno infastidito della mano

forse meglio gesto o sinonimo.
un beso Wink
In otto parole e' la Rede per noi: se non e' male, fa cio' che vuoi



Knowledge is Power. Power corrupts. Study hard. Be Evil. Slytherin.
kade
Nazgul
Messaggi: 432
MessaggioInviato: Ven 13 Apr 2007 22:01 pm    Oggetto:   

Un po' lungo ma scorre. toglierei anch'io qualche aggettivo. Sempre finali tristi?
Volo ut sit. (S. Agostino)

nunca se acuesta el sol
Darklight
Balrog
Messaggi: 2947
Località: Gotham city
MessaggioInviato: Sab 14 Apr 2007 13:21 pm    Oggetto:   

kade ha scritto:
Un po' lungo ma scorre. toglierei anch'io qualche aggettivo. Sempre finali tristi?


La prossima volta mi diletterò con l'happy ending... Wink
Comunque ancora una volta grazie per i commenti!
"Because he's the hero Gotham deserves, but not the one it needs right now...and so we'll hunt him, because he can take it. Because he's not a hero. He's a silent guardian, a watchful protector...a dark knight. "
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