Qualcosina uscita dai meandri delle mie cartelle...l'avevo quasi finita, così oggi ci ho dato il colpo di grazia
Un insegna con il nome ‘Il verme nella mela’ scarabocchiato col carbone segnalava ai passanti che quell’edificio basso, dal tetto di paglia malandato e dalle finestre alte e strette, era a tutti gli effetti una locanda. Nella fattispecie, era il genere di postaccio di terz’ordine in cui si pagava poco oro, si beveva molta birra annacquata, scoppiavano risse furibonde ma che soprattutto accettava fra la clientela le compagnie mercenarie che in quel periodo parevano più numerose delle pulci sui cani. Non era ben chiaro se effettivamente si vendessero anche mele oppure no.
La sala comune, male illuminata e piena di fumo ed effluvi di varia natura, era abbastanza spaziosa da ospitare una mezza dozzina di grosse tavole e, per i clienti che preferivano la riservatezza, un numero simile di tavoli più piccoli addossati alle pareti. Un ragazzetto con due peli sul mento e un vecchio elmetto in testa entrò allora dalla porta principale e con espressione trionfante si diresse proprio verso uno dei tavoli d’angolo.
«Ho accettato una cerca!» esordì.
«Tu hai fatto cosa?» chiese stupefatta il loro capo, una nerboruta guerriera con tanto di reggipetto borchiato e benda sull’occhio. Tra i compagni seduti attorno al tavolo scattò quel misterioso meccanismo che permette di avere conversazioni che vanno dal sussurro alle urla perfino nel mezzo di una taverna di terz’ordine affollata e rumorosa; di solito, è una cosa che preannuncia guai.
Il novellino non registrò il fatto, col suo bel sorriso a trentuno denti e l’espressione soddisfatta. «Te l’ho detto, ho accettato una cerca!»
«A parte che si dice lavoro e non cerca, siamo dei mercenari seri» spiegò con calma il capo, la summenzionata donna con la benda, posando il suo boccale. «Mi pareva di averti già spiegato, in modo molto chiaro, che di queste cose si doveva discuterne tutti insieme. Soprattutto con me» continuò. «Per quanto semplice, il nostro codice di condotta ci lega a un contratto accettato, per questo se ne deve parlare con tutti.»
«Ma ti dico che è una cerca, non un lavoro!» continuò lui, gesticolando in preda ad una eccitazione crescente. «Senti, il Prescelto mi ha detto...»
«Eh?» saltò su lo stregone, risvegliandosi dal suo torpore e facendo cadere la barba finta per terra. «Hai detto proprio Prescelto?»
«Certo!»
«Con la p maiuscola?» squittì il tagliaborse ed esperto di infiltrazione del gruppo, dando una rapida occhiata alle vie di fuga disponibili.
«Di quelli nati per compiere grandi gesta, cambiare il mondo, eccetera eccetera?» continuò lo stregone, ripescando la barba da terra e cercando di ricordarsi un incantesimo per far sparire i novellini.
«Proprio uno di loro» rispose quello, orgoglioso come un pavone in parata.
«Brutto segno» concluse il ladro vestito di nero.
«Ah...per te tutto è un brutto segno» gli rinfacciò il novellino, piccato.
«No, il tagliaborse ha ragione» disse il capo, troncando la disputa sul nascere. «Questa storia non mi piace, troppi lati poco chiari. Primo, tu non avevi l’autorità per accettare alcun contratto e secondo, cosa dovremmo fare di preciso, al fianco di questo prescelto?» L’ultima parola le pizzicò la punta della lingua, come se avesse assaggiato una zuppa troppo calda.
Il ragazzo prese un bel respiro e recitò con gusto: «Penetrare nella Rocca del Male, sconfiggere le guardie, sfidare il Nero Campione, prendere la sua spada, l’unica arma in grado di uccidere il Signore Oscuro della Rocca, e sconfiggerlo per sempre.»
Ci fu un attimo di silenzio gelido, in cui tutti cercarono di valutare quanto fosse stato serio. Nella taverna alle loro spalle, si stava scatenando una rissa.
«Tu sei scemo» concluse il capo quando si rese conto che non scherzava. «Ma che ti sei messo in testa? Non faremmo neanche due passi prima di morire, prescelto o non prescelto!»
«Ma ormai ho dato la mia parola» piagnucolò.
Il capo serrò la mascella, più volte. Erano questi i momenti che ogni vero capo temeva, ma erano anche i momenti in cui si vedeva davvero di che pasta erano fatti, in cui si capiva veramente se un uomo era un vero uomo…o bè, nel suo caso una donna.
Scambiò una rapida occhiata con gli altri, che annuirono impercettibilmente. «Scusami, ma è per il nostro bene.»
Partirono quella stessa notte dopo averlo tramortito, legato e imbavagliato, caricato a forza su un cavallo e fatto perdere le loro tracce.