Questa volta è davvero un raccontino. Una delle prime prove fantasy.
Buona lettura
TRASFORMAZIONE
Racconto di Franco Clun
Ascoltai la voce del vento che gemeva passando tra le vele e gli alberi della nave di cui le leggende narravano. Era davanti a me solida al punto che neppure la più poderosa delle onde avrebbe avuto la forza di scuoterla. Al centro del ponte, avvolto di sciamito rosso e poggiato su di una tavola d’argento, stava il Sangrail. Il sacro calice emanava una luce che trasformava il sole in un lume e costringeva a distogliere lo sguardo. Salii sull’imbarcazione e m’inginocchiai. Stavo per penetrare le meraviglie del Sangrail e mai gioia più grande era stata concessa a un mortale. La mia armatura era d’argento purissimo e brillava limpida come la mia anima. Una moltitudine di angeli intonava inni per il cavaliere prodigioso che aveva posto termine alla cerca e salvato il regno.
Mi svegliai deluso e indolenzito, come se avessi realmente cavalcato per tre giorni e tre notti. Nudo sul giaciglio di legno mi sentii subito diverso: l’incantesimo aveva sortito il suo effetto. Era un nuovo giorno, il mio giorno. Mi alzai, d’istinto tastai l’oscurità intorno e afferrai la spada accanto al pagliericcio; infusi energia al movimento, ma non fui rapido come sapevo e la lama mi sembrò grande e pesante come mai prima d’allora. La luce filtrava appena dagli scuri, non abbastanza per rivelare distintamente l’ambiente in cui mi trovavo, così mi passai le mani sul corpo.
Scesero con facilità sulla pelle troppo liscia e morbida, sul seno acerbo e sostenuto, sui fianchi stretti, sul ventre piatto e sulla peluria appena accennata fra le gambe.
— Per le palle di San Giorgio!
Magia o non magia, la testa del mago sarebbe schizzata via dalle spalle con la stessa facilità con cui la spada morde una candela di sego.
Saggiai le forze con flessioni e piegamenti, descrissi con la spada due ampi cerchi nell’aria, ma quello che ne uscì fu un otto tremulo e sbilenco. Non erano granché i muscoli che mi aveva lasciato, ma alla luce perlacea che precede l’aurora e che filtrava dalle fessure nelle pareti di pietra dovetti riconoscere l’avvenenza e la grazia delle mie nuove forme.
L’ambiente che mi circondava era attrezzato come quello di qualsiasi altro mago, ma tutto era cadente: rozzi tavoli di legno, scaffali colmi di tomi polverosi e ampolle ingrigite dal tempo. L’aria era permeata da un sentore sgradevole di spezie e muffa.
Per un istante pensai di esercitare la spada contro i bersagli che avevo a tiro, questo avrebbe certamente richiamato l’attenzione del mago, ma non ne ebbi il tempo: la porticina si spalancò lasciando entrare il giorno, insieme a un vecchio magro, cencioso e ripugnante.
Da un anziano mentore dell’arcano ci si aspetterebbe abiti puliti, una barba candida, un aspetto dignitoso, se non carismatico; il disgusto era invece la sensazione meno invereconda a cui riuscivo a dare nome. Il mago aveva occhi porcini, naso camuso e capelli radi come alberi in un deserto o come i denti che gli restavano in bocca. Era così orgoglioso da non ricorrere neppure a un piccolo sortilegio per conferire austerità ai suoi lineamenti.
— Vecchio bastardo maledetto! — esclamai, rendendomi conto con disappunto che anche la voce aveva perso vigore e profondità .
— Suvvia, bambina mia, queste parole non si addicono alle labbra di una fanciulla.
— Vomito del demonio! Non sono la tua bambina, lo sai bene. Cosa mi hai fatto?
— Niente più di quanto mi hai chiesto — si schermì il vecchio. — Avevi bisogno di purezza per arrivare al Sangrail e io …
— Spirituale. Maledetto! Purezza SPIRITUALE! Rimedia al più presto a questo… a questo…
— Capolavoro! — Sbottò il vecchio cencioso. — Un capolavoro di alta scuola di magia, ecco cosa sei. Molti uomini potrebbero arrivare a uccidere per ospitarti nel loro letto, e dato che non ne abbiamo ancora discusso, vorrei ricordarti che il problema del mio onorario non è stato risolto.
Brandii la spada e con rabbia la agitai sotto il suo naso.
— Questo è il solo pagamento che riceverai.
— Suvvia — cercò di ammansirmi con tono disgustosamente mieloso, — sai bene che non ti verrebbe alcun vantaggio dall’uccidermi. Nessun altro potrebbe ridarti le vecchie sembianze, e sai che nel nostro ambiente il sangue di vergine è molto richiesto. Maghi con meno scrupoli di me farebbero qualsiasi cosa per ingraziarsi i favori di un drago, e come ben sai i draghi vanno pazzi per…
— Lo so, lo so — l’interruppi. Con gli occhi della mente potevo scorgere immagini di alberi strappati dall’uragano provocato da ali squamose, di scaglie dorate che baluginavano, di zanne gocciolanti e fameliche che si serravano. Potevo persino avvertire il fetore emanato dalle fauci di fiamma (ma forse quello era l’odore di vino rancido e non proveniva da fauci di drago bensì dall’alito disgustoso del vecchio mago).
Passai dal fissare due occhi gialli di drago allo scrutare sclerotiche languide e cispose, e non saprei dire quale fosse peggio.
— Dunque, visto che questo tipo di purezza non ti interessa, avrei un’idea per il risarcimento del mio onorario.
Dall’angolo della bocca sdentata scese un filo di bava.
La punta della mia spada si risollevò tremante.
— Azzardati ad avvicinarti e perderai molto più di un’occasione per divertirti.
Il suo alito m’inumidì il collo, la sua mano si chiuse rudemente sul mio seno e scese disegnando una linea sullo stomaco, che non smetteva di fare capriole.
Strinsi gli occhi e inghiottii a vuoto mentre, rassegnato ma deciso a riavere il mio vero corpo, mi apprestavo ad affrontare lo scontro più difficile della mia vita.