Un aiuto!


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eNKay
Gwaihir
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MessaggioInviato: Mar 20 Gen 2004 8:26 am    Oggetto: Un aiuto!   

Vorrei chiedere l'aiuto di tutti nel mettere a posto questo pezzo. Un po' in fretta anche. Perché? Perché vorrei mandarlo al concorso Subway 2004. Per sapere di che si tratta, andate qui: http://www.subway-letteratura.org

Grazie!

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Me Ne Vado

Cari amici, addio!
Ecco come avrei voluto iniziare la pagina di spiegazione del mio estremo saluto. Avrei scritto parole coinvolgenti e commoventi per spiegare le ragioni che mi spingono al gesto inconsulto, frasi colme delle mie lacrime che avrebbero riempito i vostri occhi, se occhi aveste avuto, e vi avrebbero costretto o invitato al pianto. Avrei voluto usare concetti sempre nuovi per dirvi ciao, nuove costruzioni e idee che avrebbero esposto tutti i vostri sentimenti, e sconvolto le vostre emozioni.
Ma pensavo e ripensavo che non fosse la giusta soluzione alle mie sofferenze. Porre fine alla sofferenza può implicare trovare la pace, oppure la felicità. Il mio paradiso personale forse non esiste, forse la pace sarebbe semplicemente la fine di tutto, ma la felicità esiste anche senza dover per forza porre termine ai propri giorni. Così, dopo lunghissime riflessioni, sono giunto alla conclusione che abbandonerò non questa vita, ma questa casa. Cercherò un nuovo posto dove poter vivere sereno e apprezzato quanto non lo sono stato qui. Me ne vado, quindi, nella speranza che tutti voi abbiate più fortuna di quella che ho avuto io, che voi tutti troviate la felicità in questo luogo.
Ricordo ancora quando stavo al negozio, esposto insieme a tanti altri come me, a farmi bello davanti a quelli che passavano nel viale di fuori, o che si fermavano e mi davano un’occhiata. Alcuni sorridevano guardandomi attraverso il vetro, altri piegavano il capo pensierosi. E noi ci facevamo belli per i passanti, esponevamo i nostri colori come fanno gli uccelli nella stagione degli amori. E proprio così, noi arruffavamo le penne, volavamo metaforicamente intorno piroettando e mostrando tutti i nostri più sgargianti colori. La nostra capacità è di creare un’aura di interesse e di fascino su chi ci osserva dall’altra parte del vetro, o davanti allo scaffale. In questo siamo aiutati dagli editori, dagli autori, che scelgono per noi le livree da indossare. Ma in fondo, per quanto un vestito sgargiante possa darti attenzione, se non sei interessante di tuo,la cosa salterà fuori. Oh, sì, l’aspetto fisico è importante. Può essere molto importante. Ma sono le cose che esprimi che ti rendono famoso.
Ecco come sono nato: qualcuno ha avuto un’idea, e ha deciso di renderne partecipi tutti. Così, ha creato parole e concetti e frasi che rappresentassero al meglio il suo pensiero, e parola dopo parola, lettera dopo lettera, io sono venuto al mondo. Io, e le mie migliaia di fratelli gemelli.
E nel negozio, quella volta, Lui è entrato. Era una persona come tante, e se io avessi avuto occhi, avrei potuto vederlo, vestito in maniera elegante ma non troppo, con pantaloni grigi e una camicia strana, dalla colorazione lucida e multicolore, una giacca elegante, tipica di un completo, grigio scuro; e sopra tutto questo, un lungo impermeabile nero che mi ricorda un cugino che ho visto che aveva una foto proprio come quell’impermeabile. La faccia era seminascosta dagli occhiali scuri, ma sembrava interessante. I capelli erano cortissimi, come quelli di un militare, dove rimanevano. Le tempie erano libere di capelli. Ovviamente, in realtà non ho potuto vedere nulla, visto che non ho occhi.
Il mio rapporto con Lui è stato particolare fin dall’inizio. Appena mi vide sul mio scaffale, in vetrina, entrò deciso nel negozio e mi indicò più volte al proprietario. Questo, un amante di noi libri, era un vecchietto un po’ sordo e un po’ stordito, combinazione esplosiva. Lui indicò più e più volte il posto dove stavo, e parlò a lungo. Racconto tutto questo a senso e a intuito, visto che, ripeto, non sono dotato di occhi, né tantomeno di orecchie. Ma ho un senso particolare, quello che chiamano sesto. E con l’aiuto di esso, posso intuire e sapere quel che accade di fronte a me, in maniera molto simile a come gli uomini vedono. Ma questa è un’altra storia. Tornando a Lui, alla fine ebbe la meglio sui problemi del libraio, e riuscì ad accaparrarsi me, sborsando qualche banconota blu e giallognola. Che gioia mi prese quando vidi la mano del negoziante piegarsi verso di me! Mi sentii afferrato ed esplosi nell’estasi più pura, i miei colori rifulgevano come non mai, l’aura di interesse si faceva quasi palpabile, solida intorno a me. Il libraio avvicinò le labbra alla mia copertina lucida e colorata e sussurrò, “Stai tranquillo, inutile impegnarti tanto, adesso. Ti ha comprato! Aspetta di essere nella sua libreria, per ricominciare a dirgli di leggerti!” I librai queste cose le capiscono, odorano le pagine tutto il giorno e divengono bravi dopo un po’ a capire quanto c’impegniamo affinché qualcuno si appropri di noi. E così aveva percepito l’aura intorno a me, l’aveva vista e annusata e anche gustata. E aveva ragione: dovevo tenere un po’ di energia per dopo, invece di sprecarne tanta nell’euforia della vittoria sugli altri miei simili.
L’inizio di un rapporto amoroso è sempre complesso e disseminato di alti e bassi. Tra uomo e libro, poi, il rapporto nasce sempre con le punte di eccitazione massime, e poi l’affetto cala. E come nella maggior parte delle storie d’amore, dopo un po’ viene la noia. In fondo, una volta letta l’ultima pagina, la storia è conosciuta, consumata o divorata o pregustata e assunta a piccoli sorsi, e noi perdiamo parte del nostro scopo: perché noi siamo creati per raccontare o illuminare e spiegare. Ah, che fortuna la Bibbia! Sempre letta, sempre amata o odiata ma comunque considerata! Oh, scusate, stavo divagando.
La nostra storia iniziò come sempre accade. Una camera da letto, un letto, una lampada, un po’ di musica di sottofondo. E la voglia di sapere. L’essere umano ha un buon odore quando legge. Perché il suo odore naturale, magari sopraffatto in alcuni casi dai profumi più forti e artificiali che sono come i colori sulle nostre copertine, si mischia a quello del libro, e crea una pozione d’amore che incatena l’occhio e la mente alla parola. A volte. Altre volte l’odore dell’uomo è più forte di quello del libro, e l’incantesimo della pozione si spezza ancora prima di essere creato.
Purtroppo è quello che accadde tra Lui e me. L’inizio del nostro rapporto fu allegro, spedito passava da pagina a pagina, divorando la mia storia e tutto ciò che avevo da raccontare. E io gioivo e mi concentravo sulle sensazioni piacevoli che mi donavano i suoi occhi. Ma poi, quasi d’improvviso, smise di leggere, mi poggiò sul comodino, e se ne andò. Ma è normale, pensai, sarà andato a cena, o fuori con gli amici. In fondo, ero pur sempre il libro sul suo comodino! Quella notte, mentre dormiva dopo avermi letto ancora, studiai la stanza con il mio senso. La libreria era stracolma, e c’erano libri invecchiati e libri ancora come nuovi. E io soffrii nel vedere questi poveretti abbandonati sugli scaffali, ormai quasi disperati. Si sentivano i loro la menti e le loro lacrime, ed io mi sentivo quasi in colpa per essere lì, sul comodino, il nuovo venuto che aveva rubato la Sua attenzione.
Il giorno dopo lesse un paio di pagine, e sempre io m’impegnavo per dargli sensazioni forti, cosicché si sentisse spinto a proseguire. In fondo, ogni libro ha un paio di pagine ogni tanto che potrebbero portare il lettore ad abbandonare l’avventura. E se non ci si impegna a fondo, non si riesce a mantenere l’attenzione viva abbastanza da fargli passare quelle pagine. Ovviamente dipende tutto da un numero così alto di fattori esterni ed interni, che spiegare la ragione per cui uno di noi venga abbandonato o divorato sarebbe decisamente troppo lungo: l’umore, l’argomento, la semplicità del pensiero, la vicinanza di spirito tra autore e lettore, tutto questo ha a che fare con l’attenzione. E molto altro ancora.
Purtroppo, Lui non superò quelle pagine. Non sono l’unico a cui sia successo. Con altri miei simili si era già comportato nello stesso modo, leggendo alcune pagine e poi dimenticandosi della loro esistenza. Ma per qualche tempo io rimasi convinto di potergli far cambiare idea. E così ogni notte, mentre dormiva, io danzavo al limitare dei suoi sogni, chiamandolo per nome ed invitandolo a darmi una seconda possibilità. E continuai anche dopo essere stato sommerso dai fumetti e da altri nuovi o vecchi libri che avevano suscitato il suo interesse. E intanto prendevo polvere. Ma si sa, la rassegnazione viene solo quando le illusioni si spezzano definitivamente, e finché stavo sul comodino, la speranza restava viva e pimpante in me.
Un giorno, poi, nell’atto di risistemare la stanza, Lui mi prese in mano, mi soppesò e rigirò, aprì qualche pagina, e poi, con calma, mi ripose nella libreria. La sconfitta mi colpì con forza, come se avesse fatto cadere una sigaretta su una mia pagina. Mi sentii bruciare dentro, comprendendo che ero stato messo sullo scaffale senza essere letto. La disperazione mi colse, e piansi per intere notti il mio pianto silenzioso fatto di parole che lente si sciolgono sulle pagine. E mentre dormiva avevo la possibilità di sfogare tutta la mia disperazione e frustrazione. Perché ero abbandonato nella libreria. Quando la rassegnazione si fece strada, calma, nelle mie sensazioni, poi, iniziai a guardarmi intorno, e ad ascoltare i discorsi degli altri intorno a me. Alcuni erano vivaci, perché il loro sogno si era realizzato. Altri erano tristi e rassegnati come me e forse anche più di me, perché erano lì da più tempo. C’era Rheingold, che era stato preso e abbandonato e ancora ripreso. E poi era stato prestato, e restituito. Ma pur sempre letto. E il suo dorso era pieno dei segni della vecchiaia agiata dei libri che vengono aperti. E questo gli forniva un certo rispetto tra noi. C’era poi Lord of the Rings, uno straniero che aveva vinto e stravinto su tutti. Era logoro, aveva molti anni ed era passato a Lui dal fratello. Aveva le pagine che cadevano come i capelli di un anziano, e spesso faceva la spola tra la libreria ed il comodino. Eh, lui sì che era fortunato. Un pensiero che aleggiava sulla stanza raccontava del Suo desiderio di portarlo a rilegare, per renderlo nuovo nonostante fosse il libro più letto dell’armadio.
E poi c’ero io. Ascoltare i racconti degli altri creava sensazioni contrastanti in me, giacché mi sentivo fortunato per essere stato lì per poco, e c’erano molti che erano stati ripresi dopo un po’, e finiti. E avere accanto Lord, ti dava una ragione per vivere, per sperare ancora. Perché era stato letto più volte, e quindi mostrava che Lui leggeva! Ma questo creava due problemi ancor più grandi in me. Da un lato la paura di essere definitivamente abbandonato, dall’altra la consapevolezza che dipendeva tutto da me, se Lui mi avrebbe letto o meno.
Notte dopo notte mi impegnai, mi sfiancai per convincerlo a prendermi di nuovo, per tornare a poggiare sull’ambito comodino. E più m’impegnavo, meno ottenevo. I libri intorno a me iniziavano a non vedermi di buon occhio, forse perché io ancora provavo dove loro avevano provato e fallito. Lui, inoltre, iniziava a svegliarsi con forti mal di testa, e tutti intorno a me davano la colpa ai miei tentativi, dicendo che avevo appestato l’aria, saturandola di voglia di leggere. Sul comodino, nel frattempo, si accumulavano fumetti e riviste. Cose da leggere in breve tempo, e poi da abbandonare. Forse, alcuni sentivano che io ero diverso, e che sarei riuscito a richiamarlo. Ma i mesi passavano, e non succedeva nulla.
E così, dopo otto mesi di tentativi, alla fine rinunciai, e piansi. Difficile era ricomporre le parole sciolte dalle lacrime invisibili e silenziose durante quelle lunghe notti, e ancor più difficile era resistere durante il giorno alla tentazione di piangere ancora. Piansi sempre di più, sempre. E alla fine, dopo che quegli stessi libri che tanto mi avevano disprezzato avevano tentato in ogni modo di consolarmi, senza peraltro riuscirvi, in una notte particolarmente oscura, nacque in me il desiderio di pace. La sofferenza riesce a farci sentire vivi, a volte. Ma troppa e tutta insieme, può arrivare a farci pensare e fare cose che mai faremmo nemmeno nei nostri sogni più inconfessabili. E così, iniziò a nascere in me l’ultimo desiderio. Per settimane studiai il modo, osservando di giorno e di notte Lui e la Sua famiglia. Cercando di capire come, quando e dove. Pian piano, metro per metro, mi allontanai con il pensiero dall’armadio, fuori della stanza, giù dalle scale, e poi in giardino, lì, sotto il portico, dove ci sono tutti gli scatoloni che Sua madre usa per liberarsi della cartaccia. Sì, era perfetto. Studiai come arrivarci, se fosse meglio prendere le scale o passare per la finestra. E quando, se di notte mentre Lui dormiva o di giorno, mentre era al lavoro. La notte mi sembrò il momento propizio, e mi preparai al folle gesto. La fatidica notte scesi dallo scaffale, seguito dalle urla degli altri, che mi pregavano di non farlo, che tentavano di rassicurarmi sul mio futuro, e di farmi cambiare idea. Ma ero risoluto, deciso e lucido come si riesce ad essere solo alla fine. E così uscii dalla stanza, strisciando sulla quarta di copertina, pian piano per non fare alcun rumore.
Mi bloccai al tappeto, alto anche per me. Feci per alzarmi, e scivolare sulla superficie morbida e colorata. E ricaddi all’indietro, sulla prima di copertina, direttamente addosso a un volantino. I volantini hanno una vita brevissima, ma anche un tempo brevissimo tra la loro nascita e la realizzazione del proprio sogno. Nascono, sono letti, e di solito vengono ridotti in polvere in breve tempo, bruciati, gettati nella spazzatura, strappati e sparsi nel vento. Ma non quello. Lui è così disordinato che il volantino era ancora in vita, aspettava la morte che non arrivava. E per fortuna mia ancora non era giunta. Il volantino era la pubblicità di un mercatino, mi disse, un mercatino dei libri usati. “Hai libri nella tua camera che non hai mai letto? Vorresti dare la possibilità ai tuoi libri di essere davvero apprezzati? Donali a chi ne ha bisogno, dona un po’ di cultura!” Qualcosa di simile era scritto sul volantino. La Speranza. La speranza di non dover finire, ma di potermi donare a qualcuno che mi avrebbe amato e letto e apprezzato davvero. Ecco la risposta. Era perfetto. Mi sarei regalato a qualcun altro, qualcuno che mi avrebbe visto e amato. Ma dovevo aspettare e pianificare ancora. Mi nascosi allora in uno scatolone, in attesa del momento propizio. Studiai ancora per giorni, e a volte sentivo qualcosa di strano provenire dalla Sua stanza. Era come se cercasse qualcosa che non riusciva a trovare. Anche durante la notte sentivo strani suoni, e il mio titolo pronunciato da altri libri. Ma rimasi nascosto, troppo orgoglioso per ammettere la mia codardia, e troppo spaventato da quel luogo di abbandono e oblio. A lungo tornai a pianificare, e dopo un due, tre mesi, mi ritrovo pronto a mettere in atto il mio nuovo piano.
Sì, cari amici, sono pronto ad abbandonarvi. Ma non per andare a morire. Per andare piuttosto a vivere meglio, presso qualcuno che avrà cura di me e delle mie necessità. Qualcuno che mi legga e mi apprezzi come merito. Me ne vado, cari amici, e vi dirò anche come: una notte di queste riprenderò il mio cammino non appena Lui si sia addormentato. Scenderò le scale, lentamente, mentre il tempo passa. Due piani, poi il corridoio, il salotto, fuori della finestra aperta, e via, sotto il porticato, verso il cancelletto che da sul mondo esterno. Sono abbastanza sottile da passarvi sotto, e dopo averlo superato mi preparerò agli ultimi metri verso la libertà. Ma un libro può essere ancor più lento di una tartaruga, non avendo nemmeno le zampe su cui fare affidamento. E una delle possibilità che preferisco evitare di considerare è che il giorno mi possa sorprendere ancora vicino alla Sua nera auto. Troppo impaurito per fare altro, penso che rimarrei lì, libro sperduto sul selciato. Auguratemi buona fortuna, cari amici.


Sto andando a lavorare, un giovedì mattina alle otto. Esco di casa dopo aver salutato mamma, con la valigetta verde scuro a tracolla ed il solito impermeabile nero. Apro con la chiavetta il cancelletto che dal mio giardino da sul selciato dove si trova la mia auto. E lì, per terra, un libro. Lo prendo in mano, lo guardo. Ma cosa ci fa qui? Un Ponte sull’Eternità, di Bach! L’ho comprato appena l’ho visto, l’ho portato a casa, l’ho cominciato. Poi, però, mi è venuto in mente un racconto. E quando scrivo, di solito evito di leggere. E’ una strana pulsione che mi allontana dai libri già scritti. Non so come mai. E allora l’ho abbandonato. Per molto tempo, anche. Ho letto fumetti e riviste, come faccio sempre, per non perdere la concentrazione. E quando il racconto è stato scritto, sono tornato a cercarlo, ma non c’era più! Devo proprio essere stordito però. Cosa ci fa qui? Come c’è arrivato? Perché lo ritrovo qui? E cos’è questa strana sensazione di euforia che mi prende d’improvviso? Se non fosse da matti, direi che viene direttamente dal libro!
26 / 27 gennaio 2009

I giorni della memoria.
Marco F.
Hobbit
Messaggi: 32
MessaggioInviato: Mar 20 Gen 2004 17:34 pm    Oggetto:   

Ho appena finito di leggere.
A caldo ti posso consigliare di spezzare ogni tanto la narrazione con qualche elemento estraneo, che può essere la sensazione che il libro prova ad essere spostato per spolverare il comodino. Ma è solo un esempio.
La lettura è scorrevole ma, così strutturato, risulta un po' pesante. Bada bene che potrebbe essere solo una quetione di pagine web. E' noto che leggere a video stanchi in modo estremamente più significativo la vista.
Sistema e rivedi qualche periodo (avrei dovuto segnarli, lo so Confused ) e cerca di migliorare il ritmo.
Di più, per ora, non so dirti.
Smile
Leida80
Stregona di Angmar
Messaggi: 4986
Località: Roma
MessaggioInviato: Mar 20 Gen 2004 22:18 pm    Oggetto:   

io abbrevierei un pochettino la parte sui tentativi del libro di farsi leggere. Mi pare che tu finisca per ripetere più volte la stessa cosa.
Verso la fine c'è un dà senza accento
.
e sopra tutto questo, un lungo impermeabile nero che mi ricorda un cugino che ho visto che aveva una foto proprio come quell'impermeabile.
questa frase mi pare un po' ingarbugliata, essenzialmente per i "che" che si rincorrono.
Le tempie erano libere di capelli. Qui si ripete "capelli". Magari mettere "Era stempiato" può essere una soluzione.
Io personalmente, ma qua si va proprio nei gusti personali, non mi dilungherei troppo a spiegare perchè il libro parla o vede; sembra una specie di giustificazione che l'autore presenta per spiegare qualcosa che anche a lui pare improbabile.
Lyonesse
Nano
Messaggi: 154
MessaggioInviato: Mar 20 Gen 2004 22:44 pm    Oggetto:   

COme racconto mi è piaciuto, l'ho trovato molto carino Very Happy

Citazione:
Apro con la chiavetta il cancelletto

i due "-etto" "-etta" erano voluti...? Personalmente cerco di evitare l'accostamenti di parole con suono simile...

Andrei più spesso a capo, spezzerei un po' il racconto.
Leida ha ragione sul *sesto senso"... Lo direi una volta sola, il lettore capisce, memorizza e poi per il resto del racconto lo ricorda.
Comunque complimenti, e in bocca al lupo!
"Così Aragorn mirò per la prima volta alla luce del giorno Eowyn, dama di Rohan, e la trovò bella, bella e fredda, come un mattina di pallida primavera, e non ancora maturata in donna."
franz
Mago Mago
Messaggi: 5731
Località: Milano
MessaggioInviato: Sab 07 Feb 2004 14:49 pm    Oggetto:   

NK, hai combinato qualcosa con il racconto?
- Sei un pessimista o un ottimista?
- Sono un pessimo ottimista
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