Cronaca di una tragedia annunciata, si potrebbe dire...nel senso che prima o poi temevo avrei messo qualcosa qui da scrittore piuttosto che da lettore.
Coi commenti potreste andarci piano perchè sono nuovo e perchè sono un ragazzo sensibile, complessato e molto emo (
), ma per fortuna so che non succederà.
La serata era stata una un po’ smorta, tant’è che stava tornando da solo. Poco male, non si può cuccare sempre e comunque, e poi le strategie assurde del suo amico non erano esattamente infallibili. Ora lo aspettava il meritato riposo del guerriero, appene fosse riuscito a tornare alla civiltà.
E’ infatti un fatto alquanto strano, ma assodato, che parecchi tra locali e discoteche si possano raggiungere solo attraverso stradine poco frequentate e male asfaltate, oppure in zone talmente disabitate da essere ancora circondate da campi o, peggio, da boschi. Nei casi veramente estremi, come quella sera, la zona era anche a metà strada tra pianura e montagna, in quella fascia che sfida le leggi della geomorfologia rifiutandosi di adeguarsi al termine collina, rendendo il tutto molto più impegnativo, soprattutto dopo un paio di birre e qualche superalcolico.
Aveva il dubbio privilegio di attraversare una di quelle rare aree che l’urbanizzazione e il progresso si sono dimenticati di razionalizzare e coprire di solido cemento, a parte qualche strada di collegamento tra luoghi inesistenti e gli sparuti tralicci dell’alta tensione, piantiati sui versanti in posti talmente impossibili da far dubitare che i tecnici siano esseri umani. Tali zone sono ancora infestate da una grande varietà di alberi, parecchi anche molto grossi, che si assiepano ai lati della strada formando a volte spessi muri di legno sul lato a monte della strada, mentre sull’altro, per effetto del dislivello, i loro rami si protendono sulla strada formando una volta vegetale che assorbe i raggi del sole in un modo che nessun tendone potrebbe mai imitare.
Se queste caratteristiche possono essere sopportate, o anche trovate allettanti di giorno, per una gita fuori porta, tutt’altra faccenda si presenta al calare delle tenebre, quando un uomo si trova solo in mezzo ad una oscurità a cui non è più abituato.
“Che cavolo di posto” pensò dando uno sguardo veloce ai tronchi spettrali che filavano via illuminati dai fari. “Neanche un lampione. Per lo meno se finisco fuori strada posso fare causa al comune, ammesso che qui esista un municipio e...”
Per poco non finì davvero fuori strada, quando qualcosa di biancastro e parecchio grosso gli passò volando davanti ai fari; inchiodò rumorosamente, imprecando come due scaricatori di porto mentre la macchina sbandava, finendo la sua corsa a pochi centimetri da un albero con un grande stridere di gomme maltrattate.
Dopo i rituali tre secondi di stordimento e stupore, aprì la portiera e con evidente preoccupazione girò tutto attorno alla macchina per controllare che non ci fossero danni. Salva.
Sospiro di sollievo.
Un flebile rumore sopra di lui lo fece voltare, e allora lo vide, o la vide. Non sapeva dare una spiegazione razionale a quello stava fluttuando in alto, fra le fronde, ma in verità a lui sembrava una ragazza, che lo osservava con un misto di curiosità e tristezza. O meglio, una figura evanescente e forse anche un pochino luminosa con le fattezze di una ragazza, con lunghi capelli sciolti e vestita di verde; mosse un passo verso di lei e stava anche per dire qualcosa, anche se probabilmente non qualcosa di intelligente, quando l’apparizione si voltò di scatto e svanì nel bosco.
Senza pensare si gettò fra le braccia dei cespugli e fu inghiottito dalle tenebre.
L’apparizione si muoveva fra gli alberi con una grazia sovrannaturale, posandosi sui rami e spiccando quasi il volo fra le chiome che appena si accorgevano del suo passaggio, e per lui era difficilissimo starle dietro, impacciato com’era dallo spesso tappeto di foglie morte e dagli arbusti spinosi che lo graffiavano.
Si spinse a continuare, e quasi cadde quando la resistenza offerta dal bosco si interruppe improvvisamente ai bordi di una radura, dove la luce della falce di luna la illuminava, seduta su un ceppo. Ora che la vedeva bene, sembrava sul serio una ragazza-fantasma, opalescente nei riflessi d’argento della luna che, nonostante fosse ben lontana dalla sua pienezza, riusciva a rischiarare il luogo in modo magico. Portava un lungo mantello di lana verde in cui stava avvolta come in una crisalide, lasciando fuori solo il volto e i lunghi capelli biondo-rossicci che le ricadevano sulle spalle con leggerezza, come se fluttuassero, ed ebbe la curiosa impressione che rimanessero al loro posto invece di svolazzare selvaggiamente solo per non spaventarlo.
Aprì la bocca per parlare, ma si accorse solo allora che non aveva la più pallida idea di cosa potesse dirle. Tutte le battute di spirito che conosceva erano appropriate per un pub, possibilmente davanti ad una birra.
Poi lei alzò gli occhi scuri, colmi dell’infinità del cielo stellato sopra di loro, e fu praticamente un invito ad avvicinarsi. Con passo appena tremante si fece strada sull’erba fresca, chiedendosi come mai negli occhi di quella creatura leggesse una tristezza sempre crescente.
Era sul punto di sfiorarla, quando un sibilo lo avvertì che qualcosa non quadrava; purtroppo per lui i suoi istinti erano troppo atrofizzati, e si ritrovò a fissarsi stupidamente il petto perforato da una mezza dozzina di piccole frecce, non più lunghe di trenta centimetri, che facevano capolino dalla sua camicia, nuova per la cronaca, che si andava macchiando di sangue.
“Ma che...”
E poi stramazzò al suolo.
“Almeno questo è morto subito” sbuffò lo gnomo bitorzoluto spuntando da un cespuglio di biancospino.
“Già” fece eco un’altra voce dal bosco. “L’ultimo lo abbiamo dovuto finire a coltellate, e non è stato affatto divertente.”
“Sbrighiamoci invece di parlare” intimò una terza voce “dobbiamo fare sparire il cadavere prima dell’alba.”
Dal riparo del sottobosco tre creaturine sgraziate alte circa un metro saltellarono alla luce della luna attorno al cadavere che stava macchiando di cremisi l’erba della radura, circondandolo e afferrandolo per braccia e gambe; sbuffando e imprecando lo trascinarono indietro verso l’oscurità del bosco.
“E tu piantala” rimproverò uno degli gnomi con voce aspra proprio al limitare della luce lunare. “Lo sai benissimo che non siamo stati noi a cominciare.”
Sul suo ceppo, ancora seduta, la leggiadra creatura piangeva senza fare rumore, nascondendosi il viso nelle mani.
PS: ok, il titolo è orrido. Ma proprio proprio non me ne venivano altri.