Confusamente, il sole si specchiava nelle acque del mare d’inverno. Il negro aveva gli occhi socchiusi per i riflessi, ma non smetteva di osservare l’orizzonte.
Le gambe mi dolevano, eravamo lì da qualche ora ormai e non era successo nulla.
«Sta per arrivare» ripeté per l’ennesima volta a sé stesso, senza degnarsi ancora di rivolgermi la parola.
Magari è semplicemente impazzito e io sono un folle che segue un matto, fu il dubbio che mi assalì svariate volte da quel giorno.
Non che fosse spiacevole stare lì, in un altro momento avrei anche apprezzato la poeticità del momento: i piedi scalzi sulla fredda sabbia bagnata, le nuvole minacciose ma lontane, i gabbiani intenti a percorrere le loro parabole e il mio desiderio di essere trascinato via da qualche onda.
«Sta per arrivare» disse nuovamente e fu allora che lo vidi.
Qualcosa stava davvero venendo, un puntino che andava trasformandosi in una piccola imbarcazione a remi.
Come faceva a saperlo? Non lo so. É più di un decennio che tento di convincermi che doveva avere qualche informatore, ma una voce interna mi tortura rispondendomi che ci sono più cose in cielo e in terra di quante la mia mente ne possa immaginare. Se così fosse, come posso perdonarmi?
Man mano che si avvicinava, la figura si faceva più chiara. Un uomo non troppo grosso remava stancamente ma con ritmo costante. Continuò fino ad arrivare alla secca; fermatosi, ci fissò incredulo, quindi i suoi occhi si chiusero e perse i sensi.
«Forse non è ancora pronto» disse scuotendo il capo bruno.
Mi avvicinai alla barca per vedere il navigatore da vicino. Non sapevo per cosa dovesse essere pronto, ma le sue labbra spaccate come l’argilla al sole mi dicevano che aveva bisogno di aiuto.
Gli passai un braccio intorno al corpo e tentai di tirarlo su, ma era troppo pesante per me. «Dammi una mano!»
Non se lo fece ripetere due volte, entrò in acqua e lo prese in braccio come fosse un neonato.
Ero convinto che lo avrebbe portato in spiaggia, invece vidi che andava in direzione opposta. Adagiò il corpo in mare e gli affondo' la testa.
È decisamente fuori di testa, mi dissi guardandolo allibito, senza sapere che non era ancora venuto il peggio.
Lo svenuto si era evidentemente risvegliato e il suo corpo si dibatteva orribilmente. L’altro lo teneva con la testa sotto senza fare alcuno sforzo. Aggrottai la fronte, sentendomi fisicamente male per quella scena tremenda, ma non feci nulla, ero come incatenato da corde invisibili.
Quando il corpo smise di dibattersi quel possente uomo che qualche ora prima avrebbe dovuto essere decapitato lo portò in spiaggia.
Caddi in ginocchio, vomitando e voltandomi lo vidi accovacciarsi.
Dicevo che il peggio non era ancora venuto e così era. Baciò le secche labbra senza vita. Poi alzò il volto e gli diede due pugni all’altezza del petto.
Era finita lì?
No.
Lo baciò di nuovo e a lungo per poi colpirlo e poi baciarlo e colpirlo e… baciarlo ancora. Le sue labbra erano attaccate a quelle dell’altro più di quanto avessi mai visto le labbra di un uomo unite a quelle di una donna.
Quell’ultimo bacio era più lungo degli altri, sembrava un bacio d’addio o uno di quelli che gli amanti si scambiano dopo essersi persi di vista per troppo tempo. Ad un tratto, il corpo inerme prese ad agitarsi. Le bocche si staccarono e vidi quello che credevo essere un cadavere vomitare tutta l’acqua che aveva in corpo.
«Bagnagli il volto e fallo bere qualche goccia dalla tua borraccia» mi ordinò. Lo feci e, mentre lo facevo, i due si fissavano.
Fu allora che pronunciò quelle parole che non dimenticherò mai. «Chi muore e rinasce dall'acqua, vivrà per sempre nello spirito. Tu non lo sai ancora, ma il tuo nome sarà Linfa e nutrirai la mia missione».
L’altro richiuse gli occhi, sorridendo. |