Questa fiaba (il cui titolo mi sono inventato adesso adesso, lo ammetto
) l'ho scritta qualche tempo fa 'su commissione' per amici che fanno educazione ambientale, ma ho deciso di postarla per un paio di motivi:
1-non mi fido troppo dei commenti troppo entusiastici che mi sono arrivati; qualcuno pensava andasse bene anche prima che facessi il primo passaggio di autoediting.
2-dato che non penso verrà usata a breve in ambito 'lavorativo', volevo comunque scatenarla sul mondo indifeso (non lo fate sapere al mio capo, però!)
3-dopo il contest temevo che la sezione andasse in letargo troppo in fretta
Altra cosa, qui non muore nessuno. Lo so che voi preferivate un po' di spargimenti di sangue, ma io in realtà sono bbbbuono e uso questa cosa delle fiabe solo per rimorchiare (non potendo contare su presetanza fisica o conto in banca vado sulla sensibilitÃ
).
C’era una volta...un bicchiere di plastica. Sì, un comunissimo bicchiere di plastica che un giorno, dopo essere stato usato, venne dimenticato su uno scaffale a prendere polvere.
Siccome non serviva più a nessuno il bicchiere si annoiava molto ed era triste; per fortuna dopo qualche giorno fece amicizia con un vecchio libro, anche lui abbandonato lì a prendere polvere, che un giorno gli raccontò di come una volta era stato un albero, era stato tagliato dai boscaioli e poi era stato traformato in carta per fare il libro.
Sullo scaffale, il bicchiere di plastica passò mesi a farsi raccontare come funziona la vita nel bosco e di come tutti abbiano un compito preciso che rende felici loro stessi e tutti gli altri animali: gli uccellini spargono i semi, le api aiutano i fiori a diventare frutti, le coccinelle puliscono le foglie dagli insetti fastidiosi. Ascoltò e ascoltò finché un giorno il bicchiere disse: «Io vado.»
«Dove?» gli chiese il libro, sorpreso.
«Nel bosco.»
«Ma è molto lontano.»
«Non fa niente» ribattè il bicchiere. «Voglio andare a vivere nel bosco.»
«Buona fortuna allora.»
Così il bicchiere aspettò un giorno in cui qualcuno si era dimenticato la finestra aperta e scappò, dirigendosi verso il bosco seguendo le indicazioni che gli aveva dato il libro. Camminava lungo le strade e sui marciapiedi, ma nessuno lo notava o al massimo diceva: «Che immondizia!» Ma il bicchiere non capiva cosa volessero dire, per cui continuava a camminare.
Arrivò al bosco una mattina, e subito corse felice fra i cespugli, cercando qualcuno con cui fare amicizia. Trovò un a volpe dal pelo rossiccio, che stava scavando la sua tana.
«Ciao!» le disse.
La volpe, un po’ sorpresa, lo fiutò a lungo poi disse, schifata: «Vai via! Non posso mangiarti e non ti voglio nella mia tana, me la sporcheresti e basta.»
Il bicchiere si intristì molto e se ne andò, in cerca di qualcuno più amichevole. Incontrò, lungo il sentiero, un riccio con la schiena piena di aculei. «Ciao» si presentò il bicchiere. «Vuoi essere mio amico? Sono nuovo nel bosco.»
Il riccio si grattò il mento con un zampina, pensieroso. «Lo vedo che sei nuovo. Ma perché sei venuto fin qui dalla città ?»
«Perché mi hanno raccontato tante belle cose sul bosco e voglio vivere qui.»
«Guarda che non puoi» lo ammonì il riccio. «Nel bosco, tutti noi animali abbiamo un compito utile, ma tu, che vieni dalla città , non puoi fare niente, anzi saresti solo dannoso.»
Il bicchiere si sentì ancora più triste, ma non capiva cosa il riccio volesse dire, così proseguì sempre più nel folte del bosco, finché non fu notte. Si sedette ai piedi di un grande albero, tutto infreddolito, quando una voce dall’alto lo spaventò.
«Cosa ci fa della plastica qui?»
Guardando in alto, fra i rami, il bicchiere incrociò i grandi occhi curiosi di un allocco. «Voglio vivere nel bosco, ma nessuno vuole fare amicizia con me» protestò il bicchiere. «Tu sai il perché?»
«Sì che lo so» disse l’allocco gonfiando le piume. «Tu non appartieni al bosco, sei stato fabbricato dalle persone nella città .»
«Questo lo sapevo già , ma perché non posso stare nel bosco?»
«Vedi, tutti gli animali hanno un compito preciso perché sono nati qui. Per te che vieni dalla città non esiste nulla di simile» spiegò l’allocco. «E tutte le cose che cadono per terra, come le foglie, i rami secchi o le mie penne si sciolgono e si spezzettano lentamente fino a sparire, diventando cibo ghiotto per gli insetti o concime per le piante; tu invece, se anche volessi, non potresti nemmeno fare questo, rimanendo sempre uguale, sempre tutto solo.»
Il bicchiere di plastica allora si mise a piangere disperato. «Ma non c’è proprio nessuno che può aiutarmi?»
L’allocco si tappò le orecchie, disturbato da tutto quel fracasso. «Sì che c’è. Se vuoi ti ci porto, basta che la smetti di piangere.»
«Davvero?»
Senza rispondere, l’allocco spiccò il volo, prese il bicchiere fra gli artigli e lo portò ancora più dentro al bosco, in un luogo dove i rami degli alberi erano così fitti che la luce della luna quasi non arrivava. Depositò il bicchiere ai margini di una radura circolare bordata di grossi funghi marroni dove, al centro, spuntava una capanna di pietre e paglia.
«Lì abita la fata del bosco. Lei potrà aiutarti.» Poi volò via, sparendo nella notte.
Un po’ intimorito, il bicchiere si avvicinò alla capanna. Non dovette bussare perché la porta era già socchiusa e la luce di una lampada filtrava all’esterno, invitandolo ad entrare.
L’interno della capanna era semplice ma accogliente, con un focolare dove bolliva una pentola di zuppa, un tavolo con delle sedie, degli scaffali stracolmi di ampolle piene di liquidi e polveri colorate.
La fata, vestita di azzurro, smise di rimestare la zuppa con la sua bacchetta e lo fece sedere. «Allora, cosa posso fare per te?» chiese sorridendo.
Il bicchiere si fece coraggio e parlò: «Io voglio vivere nel bosco e farne parte come tutti gli altri animali, ma tutti mi dicono che non posso. Tu non puoi aiutarmi?»
La fata sospirò. «Eh...purtroppo non molto. Non ci sono magie che ti permetterebbero di vivere qui con noi in armonia.» Il bicchiere sentì di nuovo le lacrime salirgli agli occhi, ma la fata continuò. «Però c’è un modo in cui tu puoi essere utile al bosco e tenerlo pulito e ordinato.»
«C’è?» fece il bicchiere, speranzoso.
«Certo. E’ una magia chiamata riciclaggio.»
«Non conosco questa parola.»
«In pratica, una volta che qualcosa creato dagli umani non serve più, invece di buttarlo via come immondizia si può trasformare in qualcos’altro di utile.»
«Davvero?» chiese il bicchiere incredulo. «E quante volte si può fare questa magia?»
«Quante volte vuoi.»
Il bicchiere saltò in piedi. «E tu puoi fare questa magia?»
«Non proprio, ma ti posso far arrivare dove la sanno fare.»
«Grazie mille fata!»
Si salutarono abbracciandosi, poi lei fece roteare la bacchetta sopra di lui un paio di volte e un vento impetuoso entrò dalla finestra, sollevando il bicchiere e trasportandolo lontano, oltre il bosco, di nuovo in città , depositandolo dolcemente in un cassonetto della raccolta differenziata.
Da quel giorno il bicchiere diventò prima un piatto, poi dei guanti, una pallina da ping-pong, un tubo e infine un sacchetto della spesa, ma fu sempre felice di essere utile, sapendo così di preservare intatto il bosco che gli piaceva tanto.