Completato lunedì sera il romanzo di Francesco.
Dopo un paio di giorni, esprimo il mio giudizio.
“Estasia” è (o almeno a me è parso) un rutilante viaggi nei colori dell’immaginazione. La terra in cui il romanzo è ambientato è infatti un magmatico succedersi di personaggi e scenari fantasmagorici, una sorta di ottovolante della fantasia che ti conduce a rotta di collo lungo scenari sempre diversi.
Allo stesso tempo è anche il viaggio (intimo) di un ragazzo in se stesso, nelle proprie paure, in ciò che è, che vorrebbe essere e che teme di poter diventare. E non importa che il percorso che lo conduce ad acquisire consapevolezza di sé passi attraverso un mondo in cui le pantere volano e la musica può diventare magia. L’assonanza (per usare un termine del romanzo) col proprio essere si rinviene dal confronto (traumatico talvolta, come accade a Danny Martine alla fine) con se stesso e col proprio riflesso (corretto o distorto) e di conseguenza, verrebbe da dire, prescinde dal contesto – fantastico o reale – che sia.
Non tutto funziona in “Estasia”. La prima parte è evidentemente meno compiuta nei contenuti e matura nella forma rispetto alla seconda (d’altra parte, lo stesso Francesco lo riconosce).
Qualche figura avrebbe potuto essere approfondita maggiormente (penso a Smeriglio la cui tragica condizione di sovrano divenuto tiranno si sarebbe prestata a un’analisi più approfondita). Dal punto di vista stilistico poi ho trovato “dissonanti” (Francesco mi passerà l’uso del termine
) i suoni onomatopeici che talora infarciscono i dialoghi (per capirci: “ah ah” per le risate; “gr” per i ruggiti) e scontato qualche dialogo.
Tuttavia, a fronte di queste pecche, l’opera “esonda” (Francesco, rido assieme a te
di certa critica che contesta pure i singoli verbi che usiamo
) di passione e vitalità che la rendono una bella boccata d’ossigeno “letteraria” (per capirci, io non riuscirei mai come autore a sondare un terreno simile, preferendone altri), un inno alla vita, “l’efaltazione della fperanza a cui ognuno di noi dovrebbe fempre aggrapparfi per non trovarfi faccia a faccia col noftro Difperio” (e così la chiudo con una massima alla Bolak
).